News

Pubblicato il 21 febbraio 2023

Domande e risposte sulla politica comune della pesca, oggi e domani

pesca03-euroconsulting

Su cosa verte la comunicazione sulla politica comune della pesca?

La comunicazione “La politica comune della pesca, oggi e domani” valuta il funzionamento della politica comune della pesca a 10 anni dall’ultima riforma del 2013. Fornisce una panoramica di ciò che funziona, evidenzia gli aspetti su cui sono stati conseguiti risultati tangibili o la cui attuazione sta andando a rilento e indica quali sforzi sono ancora necessari per sfruttare appieno il potenziale della PCP. La comunicazione delinea al tempo stesso una prospettiva a lungo termine e indica una visione e un percorso da seguire per arrivare alla pesca sostenibile e resiliente del futuro.

La comunicazione conclude che la politica comune della pesca continua ad essere il quadro giuridico adeguato per rispondere alle sfide con cui le attività di pesca dell’UE, e i mari da cui dipendono, si stanno confrontando, garantendo la necessaria stabilità al settore della pesca e consentendo all’UE di essere d’esempio nel promuovere una pesca sostenibile nel mondo. I tre principi fondamentali su cui si basa la politica comune della pesca sono tuttora di attualità:

  • sostenibilità ambientale, sociale ed economica;
  • cooperazione regionale efficace; e
  • decisioni basate su dati scientifici.

La comunicazione, tuttavia, sottolinea il permanere di una serie di criticità, che ostacolano l’attuazione efficace della politica comune della pesca, e la necessità di una trasformazione più rapida e più strutturale in grado di ridurre l’impatto ambientale e climatico della pesca e dell’acquacoltura. Tale trasformazione è necessaria, da un lato, per risanare l’ambiente marino e garantire la sicurezza alimentare, dall’altro per aiutare il settore a diventare più resiliente, aumentare l’efficienza energetica e contribuire rapidamente alla neutralità climatica.

Partendo dalla valutazione del funzionamento della politica comune della pesca, la comunicazione apre una nuova fase di discussione e cooperazione tra tutti i portatori di interessi del settore (pescatori, organizzazioni di produttori, consigli consultivi regionali, autorità nazionali, società civile, ecc.). L’obiettivo è giungere a una comprensione comune delle finalità cui dovrebbe tendere tale politica, così da garantire che la pesca e l’acquacoltura siano sostenibili a lungo termine dal punto di vista ambientale e apportino nel contempo benefici economici, sociali e occupazionali. A tal fine, la Commissione ha proposto un “patto per la pesca e gli oceani” che dovrebbe coinvolgere tutti i portatori di interessi.

In che modo la comunicazione valuta l’applicazione del principio del rendimento massimo sostenibile?

Per “rendimento massimo sostenibile” (maximum sustainable yield, MSY) s’intende il quantitativo massimo di catture prelevabili dallo stock di una specie senza ridurre le dimensioni della popolazione. Con il principio del rendimento massimo sostenibile, la politica comune della pesca ha adottato un obiettivo operativo, misurabile e basato su dati scientifici per la gestione della pesca, che ha portato a risultati positivi.

Nelle zone in cui è stato applicato, gli stock si sono infatti ricostituiti e le catture e i redditi sono aumentati, mentre le ricadute negative sull’ambiente marino sono diminuite. In questi ultimi anni il numero degli stock che hanno raggiunto livelli sostenibili è andato aumentando, con risultati particolarmente positivi nell’Atlantico nord-orientale. Ma occorre fare di più per applicare pienamente il principio dell’MSY. Nel Mediterraneo la situazione è ancora preoccupante e i miglioramenti sono troppo lenti, mentre nel Baltico i recenti miglioramenti hanno subito un’inversione di marcia a causa di altre pressioni esercitate sull’ambiente e sugli ecosistemi marini.

La Commissione invita pertanto gli Stati membri ad adoperarsi in modo particolare per garantire il conseguimento dell’obiettivo dell’MSY in tutti i bacini marittimi nel momento in cui si stabiliscono le possibilità di pesca per il 2024 e per gli anni a venire.

In che modo la comunicazione valuta l’attuazione dell’obbligo di sbarco? 

Nel 2009, secondo le stime, i rigetti in mare delle attività di pesca europee erano pari annualmente a 1,7 milioni di tonnellate di tutte le specie, vale a dire il 23% delle catture totali. Per questo motivo, nel 2013 l’UE ha introdotto il cosiddetto “obbligo di sbarco”, che impone lo sbarco di tutte le catture, comprese quelle indesiderate, e la loro imputazione al contingente del paese interessato. L’obiettivo è incoraggiare i pescatori a pescare in modo più selettivo e ad evitare le catture indesiderate, poiché queste, oltre a contribuire al depauperamento delle risorse marine, rappresentano anche uno spreco considerevole di risorse.

L’obbligo di sbarco è pienamente in vigore solo dal gennaio 2019. I risultati degli audit condotti dalla Commissione nel 2020 mostrano che gli Stati membri controllati non hanno adottato le misure necessarie a garantire un controllo e un’applicazione efficaci di tale obbligo. Gli strumenti di controllo tradizionali (come le ispezioni in mare e le ispezioni degli sbarchi o dei giornali di pesca in porto o durante la vendita all’asta) sono inadeguati, perché forniscono solo un’istantanea molto parziale della conformità al momento del monitoraggio. Nella sua proposta di revisione del sistema di controllo della pesca, la Commissione appoggia l’uso di strumenti di controllo moderni. Essa continuerà a collaborare con i colegislatori per giungere ad un accordo ambizioso su questa norma così importante.

Nonostante lo scarso livello di attuazione dell’obbligo di sbarco e tenuto conto della sua recente entrata in vigore, la comunicazione conclude che è troppo presto per prendere in considerazione una sua eventuale modifica. Qualsiasi discussione su tale eventuale modifica dovrebbe invece partire da una valutazione globale dell’obbligo di sbarco, che la Commissione avvierà nel 2024 e per la quale gli Stati membri e i portatori di interessi dovrebbero fornire dati.

La comunicazione infine sottolinea che, nel frattempo, è necessario illustrare più chiaramente i benefici dell’obbligo di sbarco ai pescatori e che gli Stati membri, oltre a migliorare l’uso del sostegno mirato del Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (FEAMPA) per attrezzi e tecniche di pesca più selettivi, dovrebbero promuovere un ricorso più ampio alle nuove tecnologie per la raccolta dei dati e per ridurre al minimo le catture indesiderate.

Cosa riferisce la comunicazione sulla situazione dei pescatori? 

La pesca e l’acquacoltura riguardano le persone, la cultura, le tradizioni e le economie locali e danno lavoro a molte comunità costiere. Nell’UE la pesca commerciale occupava, nel 2020, oltre 124 630 addetti, mentre il settore dell’acquacoltura contava, nel 2018, 69 000 dipendenti.

La comunicazione dedica particolare attenzione alla dimensione sociale della pesca. Il settore incontra attualmente una serie di criticità:

  • la pesca è sotto pressione a causa dell’uso sempre più intensivo dello spazio marittimo da parte di un numero sempre maggiore di altri settori economici di più vaste dimensioni;
  • l’uscita del Regno Unito dall’UE ha innescato nuove dinamiche nella governance della pesca e ha reso ancor più complesso il processo decisionale;
  • l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha drasticamente aumentato i prezzi dell’energia, mettendo così a repentaglio i margini di profitto;
  • i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità e l’inquinamento incidono negativamente sulla sostenibilità e sulla stabilità della pesca; e
  • il ricambio generazionale, essenziale per garantire un futuro sostenibile al settore, non è sufficiente.

Se il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP per il periodo 2014-2020) ha svolto un suo ruolo cruciale nel fornire sostegno durante le crisi più recenti, oggi il Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (FEAMPA per il periodo 2021-2027) consente agli Stati membri di concedere ulteriori aiuti per far fronte alle gravi perturbazioni del mercato causate dalla crisi dei prezzi del carburante. I finanziamenti dell’UE sono stati utilizzati anche per progetti volti ad attirare i giovani nel settore, fornire ai giovani pescatori un’assistenza all’avviamento, migliorare la sicurezza e le condizioni di lavoro a bordo dei pescherecci, migliorare l’equilibrio di genere, ecc.

Tra la primavera del 2023 e l’estate del 2024 la Commissione realizzerà un progetto prospettico di tipo partecipativo a livello dell’UE dal titolo “I pescatori del futuro”, al fine di prevedere quale ruolo cruciale avranno i pescatori nella società. Il progetto individuerà le tendenze, le opportunità e le minacce che incidono sull’attrattiva del settore della pesca.

La Commissione chiederà inoltre alla comunità scientifica di precisare ulteriormente gli indicatori sociali da utilizzare nell’analisi delle relazioni socioeconomiche. In tal modo sarà possibile tenere maggiormente conto delle ricadute sociali delle misure di conservazione nel settore della pesca.

In cosa consiste il “patto per la pesca e gli oceani”?

L’ampia consultazione dei portatori di interessi ha chiarito in modo molto esplicito che solo una pesca e un’acquacoltura gestite in uno spirito di cooperazione e fiducia tra tutte le parti (autorità pubbliche, comunità scientifica, pescatori e acquacoltori, con le rispettive organizzazioni, e società civile) possono produrre risultati ambiziosi a livello sia di sostenibilità che di redditività.

La Commissione propone pertanto un “patto per la pesca e gli oceani” mirante a rinnovare l’impegno degli Stati membri e dei portatori di interessi a migliorare l’attuazione della politica comune della pesca, avviare le riflessioni e le valutazioni necessarie per adeguare tale politica alle esigenze future e rafforzare il dialogo e la cooperazione tra tutte le parti in causa. L’obiettivo è definire e concordare una visione condivisa sulla pesca del futuro.

La Commissione invita gli Stati membri, i portatori di interessi e la comunità scientifica ad aderire al patto.

Il patto si baserà su diversi principi e obiettivi fondamentali:

  • il pieno rispetto delle norme vigenti, per garantire che le risorse alieutiche siano utilizzate in modo sostenibile e per limitare le conseguenze negative sugli ecosistemi marini;
  • una maggior trasparenza nella gestione della pesca, ad esempio nell’assegnazione dei contingenti e nell’informazione del consumatore;
  • il miglioramento della governance, attraverso un approccio più olistico (trasversale ad altri settori strategici, come quello ambientale, agricolo ed energetico) che permetta di far fronte anche ad altre pressioni esercitate sull’ambiente marino, e la cooperazione con i paesi terzi al fine di garantire parità di condizioni;
  • il riconoscimento del ruolo dei pescatori e il sostegno alla resilienza socioeconomica del settore, in particolare facendo in modo che la pesca diventi un settore più attraente per le future generazioni, ad esempio collegandola al turismo marino o alle attività ricreative; e
  • la ricerca e l’innovazione continue, volte in particolare a garantire che il settore contribuisca alla neutralità climatica, ad esempio con le “navi del futuro”, a favorire lo sviluppo della pesca di precisione, a progettare la professione del futuro in questo settore e a raccogliere i dati necessari per gli sviluppi strategici che verranno.

Cosa riferisce la comunicazione sull’attuazione della PCP ai fini della protezione degli ecosistemi e delle risorse marine? 

Le attività di pesca continuano ad incidere negativamente sugli ecosistemi marini, in particolare attraverso la perturbazione dei fondali, le catture accessorie di specie sensibili e gli effetti sulle reti trofiche marine. Questi effetti, che il piano d’azione per l’ambiente marino affronta nei dettagli, si combinano a quelli provocati dai cambiamenti climatici e da altre pressioni esercitate dalle attività antropiche in mare e sulla terraferma (agricoltura, pesca, industria, trasporti marittimi, acque reflue, ecc.), nonché dall’inquinamento da plastica, microplastica e di altro tipo.

Ma il cattivo stato degli ecosistemi marini è anche una minaccia diretta per la sostenibilità delle risorse alieutiche e dell’acquacoltura e per le attività economiche correlate, oltre che per il benessere delle comunità da esse dipendenti. Insieme, tutte queste criticità hanno effetti combinati la cui portata è senza precedenti.

Per risolvere i problemi appena illustrati, occorre migliorare l’attuazione della politica comune della pesca, ad esempio rafforzando la raccolta dei dati, basando ancor più le decisioni sui dati scientifici e garantendo un controllo e un’esecuzione coerenti ed efficaci, garantire una maggior trasparenza sui criteri utilizzati dagli Stati membri nell’assegnazione delle possibilità di pesca a livello nazionale e aumentare l’efficienza, la rapidità e il livello di ambizione dei lavori condotti su base regionale per l’attuazione della legislazione ambientale.

Nella comunicazione di oggi la Commissione invita inoltre gli Stati membri ad attuare integralmente e con urgenza le misure delineate nel piano d’azione per l’ambiente marino e incoraggia i pescatori a continuare ad impegnarsi nella raccolta dei rifiuti dispersi in mare e nell’uso di componenti biodegradabili negli attrezzi da pesca. Annuncia contestualmente l’intenzione di incentrare gli sforzi, nel 2023 e nel 2024, sull’elaborazione di pareri scientifici che consentano una miglior attuazione dell’approccio ecosistemico alla gestione della pesca nell’UE e di sostenere un’acquacoltura più competitiva e sostenibile mediante la pubblicazione di documenti di orientamento entro il 2024.

Quali sono gli elementi della PCP in cui l’attuazione deve essere rafforzata o è necessaria un’ulteriore valutazione? 

Pur concludendo che la politica comune della pesca continua a fornire un quadro giuridico adeguato, la comunicazione evidenzia anche una serie di elementi specifici in cui occorre rafforzare l’attuazione e/o sono necessarie ulteriori valutazioni e riflessioni per garantire che il settore, la società in senso lato e la natura stessa possano trarre pieno vantaggio dalle potenzialità di questa politica. Tali elementi riguardano soprattutto:

– l’obbligo di sbarco e i suoi costi e benefici per la società e per i pescatori;

– il contributo all’attuazione della legislazione ambientale e del relativo sistema di governance;

– il miglioramento delle conoscenze di base e il rafforzamento dell’approccio ecosistemico, tenendo conto degli obiettivi sia socioeconomici che ambientali;

– il futuro della professione e il ricambio generazionale;

– l’uso delle opportunità di ricerca e di finanziamento dell’UE;

– l’assegnazione dei contingenti a livello nazionale e la trasparenza di tale processo;

– il quadro di capacità della flotta e la sua pertinenza per gli investimenti strutturali a bordo, anche a sostegno della transizione energetica del settore;

– la definizione di indicatori sociali per aumentare la solidità delle relazioni socioeconomiche utilizzate nella preparazione delle misure di gestione e conservazione della pesca.

Cosa riferisce la comunicazione sulla dimensione esterna della politica comune della pesca?

I recenti sviluppi politici e geopolitici, come la Brexit e l’aggressione militare della Russia contro l’Ucraina, hanno evidenziato l’impatto dell’evoluzione del contesto geopolitico in Europa sulla politica della pesca dell’UE e il suo stretto legame con la sicurezza marittima.

Con la Brexit, la dinamica delle relazioni di pesca con e tra gli Stati costieri dell’Atlantico nord-orientale è stata del tutto ridefinita e, attualmente, un numero molto più elevato di stock è gestito insieme a paesi terzi. L’accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione, che ora struttura le relazioni bilaterali tra l’UE e il Regno Unito, include aspetti della pesca e del commercio e stabilisce il quadro per le consultazioni annuali con il Regno Unito riguardanti la fissazione delle possibilità di pesca per gli stock condivisi. L’UE sta anche ultimando un nuovo accordo quadro trilaterale sulla pesca con la Norvegia e il Regno Unito, che fungerà da nuova piattaforma di cooperazione trilaterale nel Mare del Nord. Queste strutture dovrebbero inoltre contribuire all’elaborazione di misure di gestione per questioni specifiche, pur riconoscendo l’autonomia normativa delle parti.

L’aggressione militare della Russia contro l’Ucraina ha creato nuovi pericoli e ha avuto ricadute negative sulla sicurezza marittima, oggi alle prese con problemi legati a controversie territoriali, alla concorrenza per le risorse naturali e a minacce alla libertà di navigazione. In questo panorama geopolitico così mutevole, l’UE rafforzerà la cooperazione con partner che condividono i suoi stessi principi, nel vicinato e in altre zone marittime di importanza strategica.

Il nesso tra i cambiamenti climatici, il degrado ambientale delle zone costiere e marittime e la sicurezza marittima sarà affrontato nel prossimo aggiornamento della strategia europea per la sicurezza marittima e del relativo piano d’azione, nonché nella prossima comunicazione congiunta sui cambiamenti climatici, il degrado ambientale, la sicurezza e la difesa, che sarà presentata nel corso dell’anno.

FONTE: COMMISSIONE EUROPEA